Humans at work: il talento

Cosa conta davvero per usare il proprio talento? Gli incontri, la testardaggine, le competenze relazionali, la capacità imprenditoriale?

Ne ho parlato con Red Canzian, un artista che ha saputo costruire una carriera eccezionale partendo unicamente dai propri talenti naturali. E un grande amico.

Stefano: “Ho passato buona parte della mia giovinezza cercando di nascondermi e di proteggermi. Finché grazie a un incontro con un manager con cui ho lavorato negli Stati Uniti, ho compreso che ci sono occhi che sanno guardare oltre e vedere competenza e forza là dove sembra esserci riserbo e insicurezza. Lì ho capito che, sentendomi “visto” e di conseguenza protetto, potevo dare il massimo. Occorrono le condizioni giuste: libertà d’azione e di pensiero e persone sensibili intorno, portatori di un clima di serena fiducia, non di competizione”.

Andare oltre le paure è il segreto per mettere a terra un talento che altrimenti potrebbe andare sprecato

Red: “Credo che il talento sia una qualità naturale su cui bisogna poi lavorare molto. Quando ho cominciato a suonare a tredici anni, mi sono accorto che io avevo sì un talento musicale, ma che ero soprattutto una persona con un istinto organizzativo e analitico. Osservavo i pochi video a disposizione allora e capivo che una band deve essere riconoscibile per il  proprio stile.

Avevo capito che il progetto nel suo insieme è importante, non basta il talento. Comprammo un Volkswagen scassato che ci costò una pila infinita di cambiali, ma quando andavamo in giro per le balere della zona di Treviso facevamo tutto un altro effetto… eravamo piccoli artisti ma già col concetto dell’azienda”.

Il talento va organizzato

Dal momento in cui sono entrato nei Pooh ho lavorato per il successo della band. Guardavo, osservavo… tutti noi abbiamo capito che dovevamo costruire un progetto.

Così ho riorganizzato l’audio, le luci, il palco, per essere un passo avanti agli altri. Con Stefano D’Orazio abbiamo inventato, trent’anni fa, la famosa passerella che arriva in mezzo al pubblico e che finisce in una piazzetta. In quegli anni nessuno aveva ancora progettato l’immagine, l’identità di una band, qui da noi.

Progettare, ai Pooh, è servito a veicolare meglio il talento musicale fino ad entrare nel cuore delle persone, perché la bellezza è come un sorriso gentile

I nostri mentori erano i grandi artisti degli anni ‘60 e ‘70 che riascoltavamo incessantemente. E abbiamo trovato la strada per capire e per… copiare.

Vengo da una famiglia modesta, mio padre ha fatto il camionista, poi il minatore. Era chiaro che tutto quello che potevo imparare e fare dipendeva esclusivamente da me. Quindi ti do ragione Stefano: la libertà è la condizione primaria per esprimere il proprio talento. È seconda solo alla capacità di saperci porre con coraggio e gentilezza.

Vado a letto presto e conduco una vita regolare e sana, altrimenti non potrei fare le mille cose che voglio fare. L’ordine e il lavoro sono le condizioni che mi permettono di esprimermi concretamente.

Stefano: “Una delle sfide dell’avere successo è superare la tentazione di diventare cinici. Ho affrontato molte situazioni difficili, mi sono occupato di licenziamenti collettivi decisi durante lunghe trattative notturne. Il momento cruciale però è trovarsi davanti a delle persone a cui devi dire che non hanno più un lavoro. L’ho sempre fatto di persona, guardando ciascuno negli occhi. È il mio modo e non ci ho mai rinunciato.

Voglio vivere senza tradire il mio bisogno di stare nell’emozione del momento, che sia buono o cattivo. Voglio essere me stesso

Quando avevo un contratto con una grande azienda di elettronica è arrivato il momento di licenziare 40 persone: quaranta famiglie messe in crisi da una mia scelta. Una decisione necessaria finché si vuole, ma comunque difficile. Qualcuno mi chiese: “Come facciamo a dirglielo?”. Risposi: adesso ti faccio vedere.

Organizzai una riunione e diedi la notizia a tutti. Ricevetti minacce, insulti. Ma sono certo che quelle persone ricordano che io ero lì con loro, che ci stavo mettendo la faccia. La mia grande preoccupazione è di potermi guardare allo specchio con serenità e di essere considerato una persona a posto. Non ho altri obiettivi, a parte cercare di fare le cose al meglio.

La sensibilità è una parte importante del management, l’emozione condivisa mostra la tua fragilità e concede agli altri di poter essere umani

Lavoro molto sull’empatia. Alle persone intorno a me suggerisco di portare alla luce il più rapidamente possibile qualsiasi problema relazionale. Se non c’è affinità in un team, non è possibile fare un buon lavoro. Non si può collaborare con tutti: per costruire una squadra efficace bisogna che le dinamiche siano positive e stabili a livello umano. Dico sempre che cerco delle ottime persone, non dei bravi professionisti”.

Red: “Sono d’accordo con te. Ho appena finito il tour dell’Opera pop ispirata a Casanova. Tenere un atteggiamento caldo, aperto e gentile è stato decisivo per il successo dello show. Un sorriso e un tono di voce tranquillo comunicano che stiamo collaborando, che stiamo cercando di risolvere i problemi insieme.

Casanova è un progetto familiare, portato avanti con mia moglie e i miei figli. Le nostre relazioni serene, affettuose, hanno portato la stessa energia all’interno di tutto il gruppo di lavoro, composto da decine di persone. L’amore fra di noi è tracimato dal suo contenitore privato per toccare tutti. Tutti mi hanno detto che per la prima volta hanno lavorato in un clima di grande serenità, addirittura di famiglia.

Di Casanova si dice che sia uno spettacolo meraviglioso: penso che dipenda molto da quanto le persone sono riuscite a dare nel loro lavoro.

Il talento è la capacità di costruire progetti ad alto contenuto umano. Non solo professionalità e grande competenza, ma il cuore, l’anima

Posso scrivere il musical più bello del mondo, ma se non ho 25 artisti in scena e altrettanti professionisti in backstage che oltre a essere bravi sono anche delle ottime persone, il lavoro non funziona.

Stefano: Forse è per quello che quando ci siamo visti per la prima volta ci siamo riconosciuti. Ci sono intuizioni che non hanno niente a che fare con la razionalità: è una comunicazione che parte dagli occhi e passa per l’anima, da uno all’altro”.

Red: “È così: fra tanta gente, ti riconosci. Ti ricordi quando ho cantato per te una canzone? Non l’ho mai fatto per nessuno, tu hai preso la sedia e ti sei messo davanti a tutti e vedevo quanto stavi apprezzando quel momento, quello che per te era un dono”.

Stefano: “Credo che sia qualcosa che ha a che fare con la passione, con l’ossessione e le cose fatte con il cuore. Io ogni sera vado a letto contento, mi sveglio presto la mattina, leggo i giornali e comincio a pensare a tutto quello che voglio fare quel giorno.

L’ossessione di fare cose bellissime va oltre la competenza e l’esperienza. È un’attitudine e una necessità

Red: “Ci si deve accontentare di molte cose nella vita, ma perché farlo quando invece si può migliorare? L’altro giorno, finito il tour, i miei figli speravano che trovassimo il tempo di riposarci. Mia moglie si è messa a ridere: io sto già pensando a come far crescere Casanova in nuovi spazi, nei teatri d’opera. Questo musical è un colossal a conduzione famigliare. Come un terzo figlio. E un figlio non lo abbandoni quando comincia a muovere i primi passi, vuoi vederlo crescere, farsi adulto, farsi strada nel mondo”.

Stefano: “Ho avuto alcune proposte interessanti. Delle buone proposte. Ma ogni volta non riuscivo smettere di pensare che non mi sentivo pronto. Non bisogna cedere i sogni con facilità. Vanno fatti crescere, anche per rispetto nei confronti delle persone che lavorano con me.

Red: “Quando ho un’idea o, come lo chiami tu, un sogno, io lo disegno. Prendo un bel pennarello e ci faccio una cornice intorno: perché i sogni vanno circoscritti e hanno bisogno di gambe per funzionare. In gioventù ho conosciuto tante persone che sognavano, ma non combinavano mai niente. Perché si nutrivano di utopie, non sapevano dare una forma concreta alle loro idee. E non hanno combinato nulla”.

Stefano: “Sì, i sogni vanno fatti crescere e non sono monetizzabili. Ho visto spesso persone diventare molto ricche dopo aver venduto la propria azienda, ma anche molto tristi”.

Red: “È così. Quello che nasce dalla tua anima non ha un valore economico, ne ha uno ancora più grande e va rispettato.

Quando si dice “vendere l’anima”… È quel momento in cui cedi il tuo sogno, il tuo progetto.

Che è un po’ come svendere se stessi. Puoi accettare di rinunciare a qualsiasi cosa davanti a una buona offerta, ma non a te stesso”.

Stefano: “Credo ci voglia una buona misura di coraggio e di consapevolezza. Nel mio modo di gestire Deles ho preso una strada difficile, basata su un fattore molto delicato: la fiducia. Chiediamo ai nostri clienti di lavorare esclusivamente con noi, è quello che chiamiamo modello One Source. Ci sono delle ragioni pratiche e razionali per farlo, che influiscono positivamente sulla qualità. Ma c’è una seconda ragione, a mio avviso ancora più importante: il fattore umano.

La fiducia reciproca mi permette di costruire relazioni forti e di pensare in modo creativo

È una grande responsabilità, perché nessuno fa come Deles.

Del resto io guardo sempre con attenzione quello che fanno i miei competitor, ma sono decisamente più interessato alle imprese al di fuori della mia area di attività.

Se tutti cercano di posizionarsi, io preferisco invece lavorare sullo “sposizionamento”

Cerco ispirazione fuori dalla mia comfort zone, vado a vedere cosa fa chi lavora in ambiti completamente diversi dal mio con successo. E poi traduco quel modello nel mio lavoro. È un modo per portare innovazione e tentare strade inesplorate. Quindi dobbiamo essere all’altezza delle nostre scelte, con coraggio”.

Red: “Mi fai venire in mente il percorso che abbiamo fatto con i Pooh. Quando abbiamo iniziato ad autoprodurci,nel 1976, il concetto di industria musicale per un gruppo non esisteva. Ma Stefano (D’Orazio, ndr) ha sempre avuto una mente manageriale, che spero di aver sempre supportato con la mia voglia di fare e di organizzare. Abbiamo capito presto che dovevamo renderci completamente autonomi.

Abbiamo cominciato ad autoprodurci, personalmente dai primi anni ’80 ho gestito i migliori studi di registrazione perché ritenevo che un gruppo doveva avere il suo studio dove costruire il proprio sound, e poi avevamo un capannone, una sorta di laboratorio con tanto di fabbro e falegname, dove progettare e costruire i nostri palchi, le scenografie e dove fare le prove per i tour.

Nessuno in Italia ha scelto per il proprio lavoro artistico un’attitudine imprenditoriale, ma è quello che ci ha permesso di essere diversi, di evolvere.

È stato un percorso di coraggio in un momento storico in cui l’unicità era un valore forte nel mondo musicale. Lucio Battisti era unico, Mina era unica. I Pooh erano unici. Il grande salto l’abbiamo fatto con Parsifal nel 1973, un LP che ha venduto in prima uscita 330mila copie: una cosa mai vista. Siamo diventati il punto di riferimento della nascente industria musicale”.

Stefano: “Il tuo è un lavoro corale. Sto pensando a quanto conta il confronto con altre persone nel successo di un progetto. Io cerco in ogni modo di circondarmi di persone forti, amo il contraddittorio e le situazioni di confronto esplicito.

Creo confronti accesi fra teste pensanti. Sono l’equivalente del caos, quel momento in cui si scatena la scintilla e compare l’idea

Mi arrogo il diritto della sintesi, però. So di essere bravo a mettere ordine, a trasformare il caos in un progetto.

C’è voluto del tempo per uscire dagli schemi. Inizialmente le riunioni avevano un’agenda, delle presentazioni. Momenti un po’ piatti, noiosi, in cui nessuno ascolta con attenzione. La soluzione è stata stravolgere i momenti di lavoro comune mettendo sul tavolo gli argomenti condivisi e iniziare un dibattito. Questo è il processo che porta alla nascita di nuove idee, secondo me”.

Red: “Mi piace lavorare in team, e anche dopo lo scioglimento dei Pooh, nel 2016, il mio atteggiamento collaborativo non è mai cambiato. Mi piace vedere le mie idee prendere una forma grazie all’apporto di altre teste… e non a caso, ora, in questa avventura imprevista che stiamo rivivendo come Pooh, la cosa più bella è stato ritrovare la famosa “condivisione“che ci ha fatto durare 50 anni.

So che è fondamentale sapere quando fare un passo indietro e lasciare agli altri l’azione.

È un gesto di rispetto che contribuisce a dare importanza al lavoro di tutti. La cosa buffa è che l’ho capito soprattutto lavorando con mia figlia”.

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