Libertà

Ho dei valori che danno un senso e una direzione a ogni giorno della mia esistenza. Con ovvi alti e bassi, aspiro a stare bene con me stesso grazie alla consapevolezza di aver fatto, giorno dopo giorno, delle scelte giuste. Di aver dato a chi mi circonda attenzione, opportunità per evolvere, spazio per diventare migliore e soprattutto costruire progetti che moltiplicano positività nella vita del maggior numero di persone possibile. È la mia natura, è un modo per rendere più forti e stabili le relazioni, per circondarmi di un ambiente amichevole, dove posso essere me stesso.

Silvia Polleri mi è affine, ma la sua dedizione all’altro, agli esseri umani, è molto più intenzionale e l’ha spinta a fare scelte personali forti e sfidanti che hanno un impatto reale e quotidiano sulla vita di persone in difficoltà. Come partecipare a una lunga missione in Uganda. O come aprire prima un catering, poi un ristorante (ottimo, di alto livello) all’interno di un carcere. Non è una vita comune, la sua. 

L’ho incontrata per questa conversazione da InGalera, il ristorante sulla soglia del Carcere di Bollate. È un ambiente piacevole, sofisticato, in cui lavorano solo detenuti, dallo chef al maitre di sala, ai camerieri. E tutto è progettato perché ci si possa dimenticare immediatamente che il ragazzo gentile e sorridente che ti accoglie da InGalera è qualcuno che sta scontando una pena. Ci sono solo esseri umani da InGalera.

Silvia Polleri: “Questo non significa ignorare il percorso di vita di chi lavora con me. Sono storie ovviamente difficili, di fragilità sociale, di dipendenze, di disperazione. Sono persone che giustamente stanno pagando per aver ignorato la legge, che è quell’impalcatura sociale di norme e regole che ci consente di vivere tutti insieme e, quando è il caso, di dirimere i conflitti”.

Stefano Scaroni: “Tu rispetti le regole Silvia?”

Silvia Polleri: “Io rispetto tutte le regole perché credo che si possano cambiare le cose solo con la pazienza e la caparbietà. Le rivoluzioni sono lente e sono il frutto di strategie affini alle regole sociali, non contro il sistema”.

Stefano Scaroni: “E quando si parla di sistema carcerario diventa ancora più complicato…”.

Silvia Polleri: “InGalera è stato un percorso arduo e veramente rivoluzionario. Abbiamo cominciato con un catering interno al carcere: l’ex direttrice Silvia Castellano nel  mi fece una strana domanda:

Silvia vuoi aprire un catering in cui lavorano i prigionieri di Bollate?

Usò quel termine deliberatamente, per chiarire il contesto in cui mi stava proponendo di lavorare, con tutte le contraddizioni e le difficoltà del caso. Dopo aver parlato con la mia famiglia, le dissi di sì. InGalera è la più recente prosecuzione di quell’idea iniziale. Dal nome in poi, ogni parte del progetto è stato intenzionale: non ho mai voluto che questo luogo fosse il ristorante della misericordia.

Faccio questo lavoro senza ipocrisia, cerco sistemicamente di trasmettere l’idea che InGalera è un’impresa che deve vivere l’ambizione della competitività, un buon ristorante fra altri buoni ristoranti, per offrire dignità e appartenenza a chi ci lavora

È fondamentale per tutti, ma soprattutto per il percorso carcerario che, tendenzialmente, infantilizza i detenuti. La dignità di essere una persona che fa cose riconosciute come valore, da sé e dagli altri è redentivo,  un passaggio funzionale alla possibilità di una nuova vita. Non cambia quello che è accaduto nel passato individuale: ci sono gesti e scelte che ci abitano per sempre. Ma si può avere la possibilità di ritornare a vivere liberi ”.

Stefano Scaroni: “La leva motivazionale. Riconoscere i collaboratori come individui che agiscono per conto tuo non tanto all’interno, ma all’esterno. Abbiamo sempre ragionato su aziende popolate da pedine funzionali agli obiettivi imprenditoriali, ma siamo cambiati. Le persone ci scelgono, hanno bisogno della libertà di decidere con chi e per cosa investire il proprio tempo e il proprio talento. Vale per i collaboratori, ma anche per i clienti, per gli stakeholder, per i fornitori.

Sarebbe il momento di cambiare le regole anche a livello contrattuale, per superare la rigidità di un paradigma che include solo la relazione fra datore di lavoro e lavoratore

È urgente pensare a un rapporto istituzionalizzato basato sui reali valori delle persone di oggi, che hanno aspettative completamente nuove”.

Silvia Polleri: “Cambiare le regole è difficile. Di InGalera hanno parlato sulla stampa internazionale: è un progetto all’avanguardia che ha avuto la benedizione mediatica anche del New York Times. Eppure mi hanno ostacolato in ogni modo.

La burocrazia sembra avere esattamente questa funzione: impedire il cambiamento, anche quando è necessario, anche quando le condizioni lo richiedono

Quando il sistema non supporta il benessere delle persone e non risponde razionalmente alla richiesta della realtà attuale, l’unica soluzione è prendersi dei rischi personali. Far propria la responsabilità di chiedere, di puntare i piedi, di pretendere almeno l’applicazione sensata e intelligente delle regole in nome della dignità di ognuno di noi e dell’impresa che portiamo avanti. La tentazione dell’ambito sociale è di essere residuali, ma non ce lo si può permettere”.

Stefano Scaroni: “Ci vuole tempo per le rivoluzioni. Si passa per morti e feriti, per chi resiste, per chi fatica a capire. Ma quando vuoi cambiare qualcosa da una parte c’è la risorsa della forza personale, della convinzione. Dall’altra c’è la pazienza, perché all’inizio trovi sempre opposizione”.

Silvia Polleri:

Io la chiamo “la rivoluzione tranquilla”

Più è forte la visione evolutiva più troverai mille ostacoli, ostacoli seri, che mettono in crisi il progetto. Poi quando ce la fai le persone si stupiscono, perché hai superato ogni difficoltà, sei andato avanti malgrado tutto”.

Stefano Scaroni: “Certo, il tema riguarda le persone che si muovo all’interno di una struttura che sembra fissa, che vuole mantenere se stessa immobile”.

Diventa complicato lavorare quando il sistema non supporta il cambiamento

Silvia Polleri: “Il lato positivo però sono ancora una volta gli esseri umani. Quando si è fatta strada dentro di me l’idea di InGalera ho chiesto al direttore Massimo Parisi di poter usare lo spazio in cui siamo. Lui ha guardato più lontano di me e mi ha fatto una convenzione per vent’anni. La sua lungimiranza è stata straordinaria. Ha capito la forza di questo progetto. 

Stefano Scaroni: “A volte mi confronto sul tema dell’agevolazione all’impresa all’estero e mi rendo conto di quanta energia spendiamo per superare i pregiudizi e una certa ideologia obsoleta delle istituzioni italiane. L’impresa è circondata da opportunità di ogni genere: tecnologiche, di sviluppo, di internazionalizzazione.

Per muoversi rapidamente occorre avere relazioni efficienti e rapide con i poli di ricerca delle università, con le pubbliche amministrazioni

Fra noi e gli altri paesi c’è un divario enorme, in ogni ambito. Dall’acquisizione dei fondi europei alla reattività dei governi rispetto alla visione a lungo termine. Va vinto il pregiudizio verso l’iniziativa imprenditoriale. Non tanto per l’imprenditore, ma per lo sviluppo del paese, per le persone che lavorano. Il problema oggi è generare opportunità di lavoro”. 

Silvia Polleri: “C’è un lato quasi comico in tutto questo. Quando ne 2003 ho presentato il progetto al Comune di Milano la mia idea era molto chiara. Forse non semplice, ma chiara. Volevo avviare un catering dove lavorassero i prigionieri di un carcere. Mi chiesero: “Cosa vorrebbe fare scusi?”. Non hai idea di cosa ho smosso per superare l’incredulità dei funzionari, i dubbi dell’Annonaria il giorno dell’inaugurazione di InGalera, la puntigliosità del medico dell’ATS durante la prima ispezione. Un atteggiamento sospettoso non solo generato dal loro stupore, ma proprio dall’idea di poter fare una cosa del genere in Italia, in un carcere, in una rete di norme, leggi e burocrazia ottocentesca che sembra impenetrabile. Non dimenticherò mai le loro espressioni. Ma InGalera è una realtà”.

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