Gaia Alaimo è la fondatrice di School of Work, una community seguita da più di 50mila persone su Instagram e TikTok, ed è una consulente di carriera per la GenZ e i Millennial. È una Forbes Under30 per aver saputo intercettare con intelligenza i bisogni di due generazioni che faticano a organizzare la propria carriera nella complessità del mercato del lavoro. E l’ha fatto con gli strumenti tipici delle nuove generazioni.
Siamo ormai amici, ci concediamo delle conversazioni di reciproca mentorship. Io imparo chi sono i giovani talenti e cosa cercano, lei impara come trasformare sempre di più il suo lavoro in un business.
Gaia Alaimo: “Cosa ti rende felice quando lavori?”
Stefano Scaroni: “L’idea di fare qualcosa per gli altri. Di avere un ruolo positivo nella vita di tante persone. Vivo la responsabilità come una gioia, un motore irrinunciabile. Sembra che i ruoli autorevoli siano un modo per soddisfare se stessi, l’esercizio di un potere personale. Per me non funziona così, è l’esatto contrario. Mi piace pensare di creare spazi di possibilità per gli altri”.
Gaia: “Anch’io sono felice quando ho la sensazione di essere utile alle persone. Ci sono situazioni in cui sento il lavoro come un obbligo. Penso: “Mi tocca”, mi metto a testa bassa e faccio quello che devo fare. In altri momenti è completamente diverso.
Finisco la giornata sentendomi grata e onorata di aver lavorato, è un emozione completamente diversa, esaltante.
La cadenza fra momenti di dovere e momenti di piacere mi sembra inevitabile, fa parte delle cose. Ma sono le giornate in cui mi sento serena e soddisfatta che ripagano il ciclo normale di energia e stanchezza”.
Stefano: “Fare cose belle è la mia ossessione. Non so definire il concetto della bellezza di cui sto parlando, ma è un sentimento molto chiaro dentro di me. Fin dall’inizio mi rendevo conto che perseguivo quest’obiettivo costantemente, e più imparavo più ero felice della persona che stavo diventando”.
Gaia: “Quando hai iniziato, quando eri all’inizio del tuo percorso, qual è stato il momento di più grande felicità?”
Stefano: “Lavoravo per una multinazionale americana e l’anno in cui ho conseguito i migliori risultati in Europa e fra i migliori del mondo ho capito che stavo acquisendo competenze e che il lavoro aveva un senso.
L’autonomia economica, la libertà delle scelte, i risultati tangibili del mio modo di pensare e di fare… È stato il momento in cui mi sono sentito di poter fare molto di più, ho toccato con mano la possibilità che avevo davanti.
Dubito che sia possibile sentirsi appagati senza il riscontro diretto del mondo che ti circonda. Deve essere tangibile, concreto”.
Gaia: “Qualche tempo fa su TikTok è girato un video che descrive la giornata tipica di un lavoratore americano: alzarsi, uscire, lavorare, tornare a casa e bersi una birra. Le reazioni che ha suscitato mi hanno colpito. Alcuni dicevano nei commenti che quella era la loro vita ideale, altri sostenevano che era un vero incubo
Eppure ci sono esseri umani che non sono interessati a mettere troppe energie nel proprio lavoro.
Per loro il lavoro è un mezzo di sopravvivenza e sono felici così. Io ho una storia diversa”.
Stefano: “Com’è la tua storia? Come è nata School of Work?”
Gaia: “A 26 anni avevo un contratto a tempo indeterminato, un’ottima posizione in ambito Employer Branding e Internal Communication nel team HR globale di una multinazionale a Milano e già diverse esperienze lavorative, anche all’estero (in Apple a Londra e in Impact Hub a Belgrado).
Avevo raggiunto quella situazione con le mie forze, partendo da una famiglia senza particolari possibilità economiche, il che mi ha permesso di allenare la forza di volontà, capacità di trovare soluzioni e mi ha insegnato a dare veramente valore al lavoro.
Avevo imparato a leggere il punto di vista delle aziende quando si tratta di selezione e gestione del personale. Allo stesso tempo, capivo le difficoltà dei miei coetanei nel muovere i primi passi nel mondo del lavoro e non mi sono mai tirata indietro quando c’era la possibilità di aiutare le persone intorno a me.
Per cui avrei voluto creare uno spazio per le nuove generazioni per potersi confrontare su temi come lavoro, crescita personale e scelte sul futuro in un clima accogliente, autentico e di condivisione.
Come? Non lo sapevo. Ma credevo sicuramente che andasse fatto in un modo nuovo, diverso. Volevo parlare dell’argomento più ansiogeno per tutti i ventenni, senza ansia.
Così, nel 2019, nel mio tempo libero ho iniziato a raccontare il mondo del lavoro sui social (inizialmente chiamando la community “Your Millennial Mentor”) e a intervistare giovani professionisti e professioniste con percorsi diversi, dal Software Developer all’Imprenditrice, dall’esperta di vendite allo specialista di Digital PR. Abbiamo anche coinvolto grandi manager e imprenditori italiani di fama internazionale.
Ho cominciato su YouTube e Instagram, per poi approdare su TikTok in tempi non sospetti, a gennaio 2020.
A novembre 2020 ho lasciato il posto fisso per dedicarmi ad avviare la mia attività.I primi anni dopo l’università ero totalmente focalizzata nel creare il MIO lavoro, nel rendermi libera. Ero disposta a fare sacrifici: ho vissuto per tre mesi in un ostello a Belgrado e, quando ho potuto affittare un piccolo appartamento malridotto, con il parquet rovinato, ero al settimo cielo. E adesso sembrerò una disperata, ma te lo devo dire. Quando ricevuto il mio primo stipendio mi sono messa a piangere. Ho pensato: “Ce l’ho fatta da sola, quello che ho ottenuto è merito mio”. Mi sono sentita fortissima”.
Stefano: “Ci siamo conosciuti perché ti ho cercato dopo aver letto di te e di School of Work. In quel momento stavo costruendo la Deles Academy e la tua idea di creare una scuola per studenti e neolaureati che non sanno come entrare nel mondo del lavoro, mi ha colpito. Diciamolo: packaging e logistica non sono settori molto sexy, soprattutto se non sai come le tue competenze potrebbero fiorire all’interno di processi finalizzati all’innovazione.
Ero dall’altra parte della barricata e non sapevo come entrare in contatto con i nuovi talenti, né come attrarli all’interno di Deles Group. È un tempo di transizione questo, tutto sta cambiando. Io sento che la relazione fra generazioni diverse è fondamentale per costruire aziende all’avanguardia”.
Gaia: “Il tema di School of Work è proprio questo. L’università non sempre ti dà strumenti concreti per capire come mettere a terra il tuo talento e le tue competenze. Non parlo di macrosistemi, ma anche solo di come si costruisce un curriculum. Una volta risolte le parti basiche però, bisogna essere capaci di guardare alle proprie abilità con lucidità. Ho conosciuto giovani geniali che non avevano la più pallida idea di come trasformare le loro idee in un business, o perlomeno in un percorso di successo. Cosa cercavano le persone nel mondo del lavoro quando hai cominciato tu?”
Stefano: “Soldi e un contratto a tempo indeterminato.
Uomini e donne per ragioni diverse, ma la stabilità era un valore condiviso.
Non era una ricerca difficile: c’era molta domanda, il contesto era diverso da oggi. Si entrava in un’azienda con l’idea di starci tutta la vita”.
Gaia: “Tutta la vita a partire dai vent’anni? È una situazione inimmaginabile oggi!”
Stefano: “C’è stato un momento in cui l’incertezza e la fluidità professionale sono diventati concetti “cool”. Una cosa che mi spaventa molto, perché la stabilità, soprattutto quella economica, è la garanzia per poter fare delle scelte nella propria vita. Comprare casa, costruire una famiglia… Al contrario l’incertezza porta all’ immobilità, non solo nelle esistenze individuali, ma anche nel mercato”.
Gaia: “Ma i giovani della mia generazione, e ancora con più chiarezza la Gen Z, cercano stabilità economica, perché viviamo in tempi di grande incertezza e, banalmente, siamo molto più poveri delle generazioni che ci hanno preceduto.
È molto chiaro che dobbiamo lavorare in cambio di soldi e che, comunque, questo è solo una parte di un tutto più ampio. Vogliamo capire quali sono i valori delle aziende con le quali passiamo una parte del nostro tempo.
Vogliamo sapere come ci faranno crescere, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista di competenze. C’è una grande discussione in atto sulla trasparenza delle offerte di lavoro: si chiede che lo stipendio sia dichiarato fin dal punto zero, negli annunci o nelle proposte delle agenzie. È un segno chiaro: nessuno vuole lavorare sottopagato. E si chiede che l’azienda abbia valori forti e condivisibili, che rispettino i propri collaboratori a 360°”.
Stefano: “Le aziende e il management sono completamente cambiati. La responsabilità nei confronti dei collaboratori e anche verso la società in generale è irrinunciabile. Ti devi preoccupare di chi sei e di che posizione hai in un ecosistema che include investitori, collaboratori, istituzioni. La relazione fra azienda e i propri lavoratori è sempre più sfidante.
Sono convinto che le aziende debbano tornare a dare garanzie di stabilità economica: è una responsabilità che riguarda l’intera economia del paese.
Il lavoro va pagato il giusto perché le aziende hanno bisogno di competenze, di energie, di idee. E poi mi viene un po’ da sorridere, perché dopo tanti anni, torniamo a essere interessati al salario. Mi sembra una buona notizia”.