Non conosciamo il carcere e non sappiamo quali siano le dinamiche che regolano l’esistenza quotidiana delle persone che lo abitano: carcerati, operatori, volontari. Sappiamo poco delle attività di recupero, della loro effettiva efficacia, dell’impegno delle persone che in molti istituti carcerari lavorano per dare un senso all’esperienza della detenzione.
Finché un giorno non ci capita di andare a cena da #InGalera, il ristorante che Silvia Polleri ha fondato con la sua cooperativa abc il sapere in tavola.
#InGalera è un luogo in cui lavorano i carcerati del Carcere di Bollate. Si mangia bene, accolti con gentilezza e cortesia, in un ristorante di ottimo livello, piacevole anche dal punto di vista dello spazio. E mentre si mangia si riflette. Si guardano gli occhi di uomini con un passato oscuro ma certamente non costruttivo. Si osservano le loro mani che offrono cibo e accudiscono gli ospiti. E che, una volta scontata la pena, usciranno con una formazione di ottimo livello in tasca.
Sono stato da #InGalera qualche sera fa e ho parlato con Silvia Polleri “Mi è successo di sentire uno dei miei ragazzi che per la prima volta riceveva il cedolino dello stipendio ed era emozionato perché era la prima volta”. Lo raccontava come se fosse il premio migliore per il suo lavoro. Aver dato un lavoro ad una persona che non ne aveva mai avuto uno in vita sua. Non uno legale perlomeno.
Ma la parte che ho apprezzato di più di questa donna che con affetto é soprannominata “Nonna Galeotta” è stata la sua enorme consapevolezza. Silvia Polleri sa molto bene dove si trova e con chi lavora tutti i giorni. Non se lo dimentica. Non chiama eroi questi uomini che hanno sbagliato. Non ne diventa la salvatrice. E non li trasforma in persone nuove. Con semplicità gli dà un’occasione. A volta funziona e, immagino, a volte purtroppo no. Silvia Polleri è consapevole che ogni essere umano ha il proprio percorso: lei ha scelto di lavorare con chi si è trovato su una strada interrotta e ha sbagliato. Chiamerei #InGalera uno spazio intelligente, dove il concetto di giustizia riparativa prende la forma di un bel lavoro di riabilitazione che tiene però conto degli errori e di chi ne è rimasto vittima. Senza buonismi, senza certezze e sopratutto con grande rispetto per tutti coloro che si sono trovati coinvolti in vicende difficili, dai risultati a volte terribili.
Ringrazio Silvia e le persone che come lei sono capaci di lavorare con sensibilità e rigore in luoghi difficili. E ringrazio Ilaria Li Vigni #wembraceawards Beatrice Vio Grandis #TeresaDeGrandis Martin Castrogiovanni che me l’hanno fatta conoscere.