Per la prima volta

Da piccoli c’è una prima partita a pallone con gli amici, un primo giorno di scuola, un primo dente caduto; ma anche la prima vota che si prova un nuovo gusto in cucina, la prima volta che si visita una nuova città, che si nuota senza salvagente, in cui si pedala in bici senza rotelle, in cui si attraversa la strada da soli.

Da piccoli c’è una prima partita a pallone con gli amici, un primo giorno di scuola, un primo dente caduto; ma anche la prima vota che si prova un nuovo gusto in cucina, la prima volta che si visita una nuova città, che si nuota senza salvagente, in cui si pedala in bici senza rotelle, in cui si attraversa la strada da soli. Il mondo dell’infanzia è costellato di prime volte. Proviamo l’adrenalina e l’emozione di vivere qualcosa di inedito e sconosciuto pressocché per ogni esperienza che viviamo. Perché attraverso le lenti disincantate di un bambino tutto appare sorprendente quando lo si scopre, lo si testa o lo si impara senza averlo mai provato prima.

Quando è esattamente che abbandoniamo questa capacità tutta fanciullesca di emozionarci? Forse con l’avvento dell’abitudine. Nel momento in cui alcune esperienze divengono ormai routinarie, allora perdono la loro capacità di fascinarci. E così, nell’età adulta, in cui le nostre giornate e il nostro mondo sono stabili, in cui abbiamo già conosciuto le più svariate esperienze, attività o emozioni, trovare il quid ancora capace di ammaliarci diventa un’occasione rara e preziosa. Quando accade che ci imbattiamo nello “sconosciuto”, non ci rendiamo spesso conto di averlo fatto. Dobbiamo perciò spendere tempo per fermarci davanti a una nuova esperienza con gli occhi della meraviglia, per far tornare alla memoria l’emozione che anche da piccoli sapeva travolgerci. E ci invita a farlo più spesso, a dedicarci alla ricerca del nuovo e dell’inesplorato.

Questo è il motivo per cui mi sono dedicato, durante il recente Strategic Leadership Committee aziendale, a riflettere su questo tema, domandandomi e domandando ai partecipanti quale sia “l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta”. Mi ha sbalordito e disorientato come rispondere a una domanda in apparenza così semplice sia impegnativo. È macchinoso cercare di rievocare un’occasione in particolare, nonostante siamo indiscussi protagonisti del quesito, nonostante crediamo di possedere una lunga lista di occasioni che rispondano alla domanda.

Mi sono trovato alla ricerca di una risposta e ho ripercorso le mie attività, i miei pensieri, le mie conversazioni. Ne ho concluso che l’ultima volta che ho fatto qualcosa per la prima volta, quell’attimo in cui mi sono commosso davanti a un nuovo avvenimento, è stato a Parigi, durante un recentissimo viaggio con la mia famiglia. Al Musée d’Orsay, in piedi davanti ai Pioppi di Monet, mi è capitato per la prima volta di emozionarmi alla vista di un’opera d’arte: ho avvertito la vicinanza del vento che agita le fronde degli alberi dipinti sulla tela, provando uno stato di coinvolgimento sensoriale ed emotivo tale da sentirmi parte della scena. E questa prima volta è stata folgorante quanto poche altre.
Da osservatore, forse in maniera automatica, non consapevole e pre-riflessiva, sono arrivati fino a me i medesimi stati emozionali consci o inconsci che il suo autore ha voluto più o meno consapevolmente esprimere, conferendo a quella visione fortemente suggestiva un particolare e personale significato emozionale per me.

Che sia la mia lieve sindrome di Stendhal, la quiete di una prima passeggiata lungo un nuovo tragitto, o la prima chiacchierata con un nuovo amico, ogni prima volta può tornare a commuoverci dando significato ad azioni semplici e dimenticate e ricordandoci con grazia la piacevolezza insita nelle piccole cose. Durante lo Strategic Leadership Committee, e ancora adesso, questa riflessione è il mio auspicio e il mio invito a spezzare la ripetitività delle nostre abitudini, in favore di ciò che è nuovo, sconosciuto, sempre capace di muoverci ed emozionarci.

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